Una tavola rotonda virtuale organizzata dalle Acli di Como

Lavoro a Como: le strategie per una ripresa che non lasci indietro nessuno

Attorno a questa tavola rotonda virtuale organizzata dalle Acli di Como nei giorni scorsi sedevano esponenti del mondo dell’impresa, della cooperazione, del sindacato, della Diocesi. Tutti, a diverso titolo, parte in causa di un sistema economico che cerca di trovare la via per rimettersi in piedi, senza perdere pezzi, e soprattutto persone, lungo il percorso. Eccoli i protagonisti della serata di giovedì 1° luglio, introdotta da Emanuele Cantaluppi, presidente provinciale delle Acli, in qualità di “padrone” di casa: Beppe Livio, formatore ed ex presidente delle Acli, con una relazione che metterà a fuoco alcuni temi e avanzerà alcune proposte; Aram Manoukian, presidente di Confindustria Como e presidente e Amministratore delegato di Lechler S.p.A; Mauro Frangi, presidente di Confcooperative Insubria e presidente nazionale di Cooperazione Finanza Impresa (CFI), la struttura di Confcooperative che finanzia la nascita di imprese cooperative; i rappresentanti delle organizzazioni sindacali Daniele Magon, segretario generale della Cisl dei Laghi; Umberto Colombo, segretario generale della Cgil di Como; Salvatore Monteduro, segretario generale Uil Lario; Alessandro Tarpini, direttore della Fondazione Enaip Lombardia e don Gianpaolo Romano direttore del Servizio alla Pastorale sociale, del lavoro e della custodia del creato della Diocesi di Como.

“Lavoro a Como: le strategie per una ripresa che non lasci indietro nessuno”, difficile fare sintesi di un incontro così denso di contenuti e con un numero così consistente di relatori. Attorno a questa tavola rotonda virtuale organizzata dalle Acli di Como nei giorni scorsi sedevano infatti esponenti del mondo dell’impresa, della cooperazione, del sindacato, della Diocesi. Tutti, a diverso titolo, parte in causa di un sistema economico che cerca di trovare la via per rimettersi in piedi, senza perdere pezzi, e soprattutto persone, lungo il percorso. Eccoli i protagonisti della serata di giovedì 1° luglio, introdotta da Emanuele Cantaluppi, presidente provinciale delle Acli, in qualità di “padrone” di casa: Beppe Livio, formatore ed ex presidente delle Acli, con una relazione che metterà a fuoco alcuni temi e avanzerà alcune proposte; Aram Manoukian, presidente di Confindustria Como e presidente e Amministratore delegato di Lechler S.p.A; Mauro Frangi, presidente di Confcooperative Insubria e presidente nazionale di Cooperazione Finanza Impresa (CFI), la struttura di Confcooperative che finanzia la nascita di imprese cooperative; i rappresentanti delle organizzazioni sindacali Daniele Magon, segretario generale della Cisl dei Laghi; Umberto Colombo, segretario generale della Cgil di Como; Salvatore Monteduro, segretario generale Uil Lario; Alessandro Tarpini, direttore della Fondazione Enaip Lombardia e don Gianpaolo Romano direttore del Servizio alla Pastorale sociale, del lavoro e della custodia del creato della Diocesi di Como.

Emanuele Cantaluppi

«Quello di oggi – ha esordito Emanuele Cantaluppi – è un incontro che le Acli di Como avevano in mente da tempo. Pensando alle nostre tre fedeltà: alla Chiesa, alla democrazia e al lavoro, ci sembrava importante in questo momento soffermarsi su quest’ultimo. Nell’organizzare questa serata mi è tornato alla mente l’incontro avuto dalle Acli con papa Francesco, il 23 marzo 2015, quando alle nostre tre fedeltà ne aggiunse una quarta: l’attenzione ai poveri. Da qui il titolo che abbiamo scelto per questa tavola rotonda: per ragionare davvero su una ripresa che non lasci indietro nessuno… Oggi contiamo di inaugurare un percorso che, nel tempo, ci permetta di andare più a fondo sul tema, coinvolgendo altre realtà di categoria ed espressioni del mondo economico. Vorrei ricordare che le Acli, attraverso i servizi e la loro azione sociale svolgono interventi di prossimità a fasce di popolazione che vivono nella marginalità. Penso agli anziani che usufruiscono del nostro Patronato, ai giovani che seguono la formazione professionale, ai migranti, ai disoccupati, ai lavoratori che hanno bisogno di formarsi. Così come siamo presenti nel Fondo Famiglia e Lavoro per essere di aiuto, assieme alla Caritas, a tante persone in difficoltà a causa della pandemia. Ricordiamo che il lavoro è il principale mezzo di socializzazione di cui l’uomo dispone per sentirsi parte attiva all’interno della famiglia e della società».

Beppe Livio

A dettare il canovaccio della serata è stato Beppe Livio, con un’introduzione che ha messo sul tavolo alcune questioni chiave della Como di oggi: la provincia di Como tra frontiera (con il Ticino maggior datore di lavoro) e città metropolitana. La crisi dei distretti, dal tessile al legno-arredo, e la loro riorganizzazione. La perdita di competitività del manifatturiero, a favore del terziario turistico e commerciale, con il graduale passaggio dal prevalere dell’offerta di contratti a tempo indeterminato, tipici della manifattura, ai contratti precari, tipici per i ritmi di lavoro del terziario commerciale, dei servizi di accoglienza e della ristorazione. E poi altre evidenze: l’alto tasso di disoccupazione giovanile e l’ampio differenziale tra occupazione maschile e femminile, con il conseguente interrogativo su quali offerte si possano fare nei prossimi anni proprio ai giovani ed alle donne. I limiti della Pubblica Amministrazione. Il fallimento di “Garanzia giovani”: il programma comunitario costruito quale canale preferenziale per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, che in Paesi come Francia o Spagna ha visto nel tempo trasformare gli inserimenti in rapporti di lavoro veri, mentre per l’Italia ci si è per lo più fermati a tirocini extracurricolari. E poi altri interrogativi: un sistema fondato in gran parte su piccole imprese, con a volte, problemi di ricambio generazionale, è in grado di avere le risorse economiche e le competenze per “riprendere” la crescita? Quale ruolo possono giocare le forze sociali e, in genere, il terzo settore? Quali i passi da compiere per una ripresa che davvero “non lasci dietro nessuno”?  «Ci sono due misure integrative – ha spiegato Livio -, rispetto a quanto previsto dal PNRR, che segnerebbero un effettivo cambio di paradigma. La prima dovrebbe essere una decisa riforma della normativa sui tirocini: vanno mantenuti i tirocini curriculari, all’interno di percorsi formativi secondari e terziari ma devono essere ridotti drasticamente i tirocini extracurricolari, riservandoli esclusivamente alle persone disabili od in condizione di svantaggio sociale. La seconda è lo Jus Culturae. I giovani sono già complessivamente pochi ma, tra loro, la quota dei giovani stranieri (nati in Italia o giunti in Italia) è una percentuale significativa. Nella provincia di Como, il 1° gennaio 2021, i giovani residenti nella fascia di età 0-19 anni erano 105.519, di questi i minori stranieri sono il 10,5%. Non dare la cittadinanza ai minori che compiono un ciclo completo di studi, dalla scuola primaria alle scuole secondarie, non è solo una ingiustizia, è uno spreco enorme di risorse. Non possiamo permettercelo».

Aram Manoukian

«Quando si pone il tema del lavoro – ha commentato Aram Manoukian – generalmente si tende ad imputare la responsabilità di alcune mancanze a qualcun altro: alle istituzioni, all’impresa… Io credo invece che la prima domanda che dobbiamo porci è: che cosa può fare ciascuno di noi, nel suo piccolo, per far sì che queste situazioni cambino? Dentro la mia azienda (la Lechler, ndr) ho sempre cercato, di domandarmi con anticipo che cosa potessi fare per non lasciarmi sorprendere da situazioni che, in qualche modo, continueranno a verificarsi anche in futuro Insomma: di farmi trovare pronto. Come? La risposta che mi sono dato è stata: collaborare, cioè aprire e diffondere responsabilità dentro l’azienda, individuando persone della mia “orchestra” (io lavoro con circa 600 persone) che sappiano suonare in buona armonia assieme. Occorre avere visione ed obiettivi comuni e non perdere tempo nella divisione e nel contrasto, prepararsi collaborando. Approccio che deve valere per i singoli e per le aziende. Ci sono molte aziende che se non cambieranno presto scompariranno. Essere pronti significa prevenire, non rincorrere l’emergenza. Per questo è essenziale che mondo imprenditoria e sindacato imparino a lavorare insieme, partendo dalle politiche attive del lavoro, dalla riforma degli ammortizzatori sociali. Il mondo che ci aspetta è meraviglioso, stimolante e complesso. Dobbiamo affrontarlo con competenza e responsabilità».

Mauro Frangi

«Stiamo facendo finta che i problemi di oggi siano tutti dovuti alla pandemia – ha spiegato Mauro Frangi -, ma se leggiamo la prima pagina del PNRR vi troviamo i ritardi che il nostro Paese ha accumulato negli ultimi vent’anni. Anche prima sapevamo di essere dentro un mercato che anziché includere esclude, dell’esistenza di un certo ruolo perverso della finanza… A tutto ciò la pandemia ha aggiunto un’enorme esplosione delle diseguaglianze. Oggi mi preoccupa la sensazione che l’uscita dalla crisi sia percepita dai più come un ritorno a quello che facevamo prima, senza che ci si renda conto che non faremo ripartire questo Paese se non cambieremo profondamente il modello economico e sociale del nostro sviluppo. Quale può essere il contributo del movimento cooperativo dentro questo quadro? Il tema che è stato dato alla giornata mondiale del movimento cooperativo, celebrata lo scorso sabato 3 luglio, movimento che abbraccia qualcosa come un miliardo di persone, è stato “Ripartiamo meglio insieme”. Dentro questo “meglio” ci sta la necessità di cambiamento di direzione del modello di sviluppo: il passare da un’economia che esclude a un’economia che include, la centralità del benessere delle persone e della coesione sociale rispetto alla massivizzazione del profitto ed alla finanza estrattiva. Oggi, se vogliamo generare lavoro dobbiamo porci il problema delle imprese. Il lavoro non lo generano i centri per l’impiego, le normative o la pubblica amministrazione. Dobbiamo accompagnare la capacità degli uomini e delle donne del nostro Paese a fare impresa, l’alternativa sarebbe invece il rischio di veder scivolare una grande fetta di popolazione nella precarietà. Nel dopoguerra non furono i soldi del Piano Marshall a far ripartire l’Italia, ma piuttosto la capacità degli italiani ad investire quelle risorse per lo sviluppo. Il modello cooperativo consiste proprio nella proposta di un modo di fare impresa intergenerazionale, che ha al centro il mutualismo e non il profitto, la democrazia economica e non i rapporti di capitale. Si tratta di una delle tante possibili proposte, la direzione verso cui muoversi deve però sempre essere quella di lavorare sulla qualità e sulla capacità di generare nuove imprese competitive, altrimenti difficilmente recupereremo nel medio-lungo periodo il lavoro che le trasformazioni digitali distruggeranno».

Da parte delle organizzazioni sindacali la riflessione è partita dal tema dello sblocco dei licenziamenti.

Daniele Magon

«L’accordo raggiunto – ha spiegato Daniele Magon, segretario generale della Cisl dei Laghi – risponde alle esigenze che il sindacato aveva posto. Questo tempo che ci è stato dato è di estrema utilità, ma non sarà lui a salvarci. Ora occorrerà ragionare con le aziende perché si possa guardare insieme al bene comune, ponendo al centro la persona. Non possiamo nascondere di essere molto preoccupati di fronte alle disparità sociali che negli ultimi tempi si sono generate. Vi sono lavoratori che faranno fatica a ricollocarsi dentro un sistema di imprese che sta cercando di ripartire con maggiore attenzione all’economia rispetto al bene comune. Servirà trovare soluzioni adeguate di sostegno, che permettano di salvaguardare le famiglie; servirà prestare attenzione alla tipologia dei contratti; occorrerà la pazienza di investire sulla formazione, così da mettere i nostri giovani nelle condizioni di acquisire professionalità, aziché chiamarli solo al momento del bisogno».

Umberto Colombo

«Alla trattativa sullo sblocco dei licenziamenti – ha spiegato Umberto Colombo – ci siamo presentati unitariamente, come Cgil, Cisl e Uil, così come uniti ci stiamo muovendo anche a livello locale, e questo è molto importante. Ora fortunatamente avremo degli strumenti che saranno l’alternativa a questa smania di licenziare. Anch’io condivido però il fatto che occorra riflettere su quale impostazione vorremo dare a questo percorso, visto che una scadenza resta, quella del 31 ottobre. Ora servirà avviare al più presto un confronto che porti ad una riforma degli ammortizzatori sociali, che ci permetta di guardare oltre la pandemia estendendo tutele che oggi non sono per tutti. Altro tema caldo su cui riflettere è l’assenza assoluta di politiche attive del lavoro, per aiutare chi ha difficoltà ad entrarci o a restarci. La disoccupazione a Como è fortunatamente scesa al 5% rispetto al 6% di un anno fa, ma le diseguaglianze restano ampie. Penso al tasso ancora troppo alto di disoccupazione giovanile, femminile, e in particolare delle giovani donne. Da un po’ di tempo a questa parte anche a Como molte aziende hanno pensato che si dovesse giocare la competizione sulla compressione dei costi, e non sugli investimenti, quindi non solo nell’acquisto di macchinari, ma anche sulla valorizzazione del personale, soprattutto delle giovani generazioni. Invece si è optato per la riduzione di salari, delle tutele, dei diritti. Chi ha fatto questa scelta è uscito dal mercato. Dobbiamo credere nel fatto che per vincere la competizione occorra investire sulle competenze».

Salvatore Monteduro

«Agli imprenditori chiediamo senso di responsabilità – le parole di Salvatore Monteduro -. Pensiamo alla Henkel, azienda non in crisi, che ha fatto una scelta orientata alla maggiorazione degli utili e del profitto. Questo non è indice di professionalità. Senza dubbio la pandemia ha fatto emergere problemi che da tempo ci portavamo dietro. Pensiamo ai contratti collettivi nazionali di lavoro, che sono passati da 400 a quasi 900. Molti di questi contratti non sono stati firmati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, ma da realtà farlocche, esistenti solo per abbassare le tutele e che hanno portato ad un impoverimento di molti lavoratori, favorendo l’incremento delle disuguaglianze. Per queste ragioni credo che la rappresentanza delle organizzazioni sindacali e datoriali debba essere determinata da un intervento legislativo. La competizione al ribasso dei salari non ha portato a nulla di buono, ed oggi ci ritroviamo con molti lavoratori in condizioni di precarietà. Ci si chiede perché molti piuttosto che un lavoro povero accettino il reddito di cittadinanza. La risposta è ovvia: lo fanno perché spesso il reddito di cittadinanza dà loro un sostegno economico maggiore rispetto a quello che percepirebbero come stipendio. Ci sono ragazzi costretti a sottostare a dei ricatti, ad accettare lavori precari, perché non hanno altre possibilità. Allora sediamoci attorno ad un tavolo per pensare insieme quale sviluppo sostenibile vogliamo darci. I 240 miliardi del PNRR saranno un’opportunità preziosa se sapremo indirizzarli verso politiche che ci permettano non tanto di far fronte all’emergenza, quando a dare risposte strutturali ai tanti problemi che da prima del Covid ci portavamo dietro. Ci sono studi sul prossimo quinquennio che parlano di un saldo attivo dell’occupazione, ma solo chi avrà acquisito competenze di alto livello potrà spenderle dentro il mercato del lavoro. Ecco perché dobbiamo costruire politiche attive del lavoro che permettano la qualifica dei soggetti più fragili e non formati».

Alessandro Tarpini

«Uno dei problemi con i quali ci troviamo a fare i conti – ha spiegato Alessandro Tarpini – è una pubblica amministrazione con grossi problemi di competitività. Dal 1994 abbiamo una classe dirigente che ha smesso di progettare il futuro. Appare evidente quanto il tema della formazione sia essenziale per riportare al lavoro alcune delle persone che lo hanno perso o lo perderanno. Purtroppo gli strumenti di cui oggi disponiamo appaiono troppo complessi rispetto alla gestione concreta dei processi, per cui rischiamo di arrivare troppo tardi rispetto ai bisogni. Da qui la necessità e l’urgenza di introdurre adeguate misure di semplificazione. Ma c’è anche un altro elemento da tenere in considerazione: l’occupabilità delle persone non si costruisce più quando il lavoro è stato perso, ma quando ancora lo si ha. In quest’ottica il tema della formazione continua deve diventare un faro. Guardando all’anno trascorso ci accorgiamo anche delle occasioni perse. Perché quando molte delle attività erano ferme, ed è cresciuto lo smart working non si è pensato a promuovere dei corsi sulla digitalizzazione, cioè ad una formazione adeguata a prepararci a nuove forme di lavoro?».

don Gianpaolo Romano

Don Giampaolo Romano ha illustrato il significato di uno degli strumenti utilizzati per far fronte alla crisi: il Fondo diocesano di solidarietà Famiglia e Lavoro: «La genesi di questo fondo ha tre diversi livelli. In primo luogo è nato dalla consapevolezza che l’emergenza sanitaria avrebbe portato con sé anche un’altra emergenza, sociale. La pandemia non ha generato la crisi, ma ha contribuito a catalizzare chi viveva già in situazioni di difficoltà lavorativa, e a causa del Covid è diventato ancora più fragile. Da qui l’idea, nata dal vescovo Oscar, dagli organismi diocesani e dalle associazioni laicali del nostro territorio, di promuovere questo strumento per dare una mano a chi era toccato da questa fragilità. Il Fondo viene però anche da più lontano, da una storia di solidarietà di oltre 10 anni fa quando, nel 2011, nel pieno della crisi economica globale, a cui ne sarebbero seguite altre, il vescovo mons. Diego Coletti lo promosse per far fronte alla fragilità di tante famiglie. In questi anni si è lavorato per allargare la rete di sostegno del Fondo, perché non fosse percepito come un semplice strumento di erogazione di contributi economici, quanto un’occasione di vicinanza, di contatto, di relazione, di accompagnamento. E qui veniamo al terzo livello: il fondo viene dalla certezza che il vangelo ci parla anche della dignità delle persone, dell’importanza del lavoro, e di un lavoro che sia sempre libero, creativo, partecipativo e solidale. Ed ecco che si svelano altri due obiettivi di questo fondo: ricordarci che la risposta ai problemi dell’economia, del lavoro e della società non può essere mai solamente tecnica, ma coinvolge il livello etico di ciascuno di noi, la nostra coscienza, la nostra libertà e la nostra responsabilità. Il secondo obiettivo del fondo è ricordare a noi che questi problemi non devono mai restare fuori dalle nostre porte, ma che piuttosto devono restare spalancate su di essi».

La riflessione e il confronto continuano. Appuntamento alla prossima tavola rotonda.

Marco Gatti, giornalista

da Aclicomo.it.