Articolo pubblicato su “Il Settimanale della diocesi di Como” del 9 novembre 2017.
Tornare a mettere al Persona al primo posto e non il profitto, questo è stato il messaggio di fondo della Settimana Sociale dei cattolici in Italia. L’esperienza vissuta a Cagliari dal 26 al 29 ottobre ci ha arricchiti di un bagaglio che abbiamo il dovere di portare sul territorio.
Abbiamo vissuto un’esperienza che difficilmente dimenticheremo. Un appuntamento che si rinnova da oltre un secolo: le Settimane Sociali sono iniziate 110 anni fa, nel 1907, a Pistoia, su una tematica oggi attuale: “Contratti di lavoro, cooperazione e organizzazione sindacale”.
Il momento più interessante per me è stato quello dei 90 tavoli di confronto. Vescovi, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, lavoratori di ogni settore e volontari, ognuno di noi ha portato il proprio contributo su come affrontare la questione della crisi e le problematiche legate al lavoro.
Dalla sintesi di questi tavoli è nato il documento che è poi stato consegnato al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, al Ministro del Lavoro Giuliano Poletti e al Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani.
Tra i temi discussi al nostro tavolo grande rilievo è stato dato all’alternanza Scuola-Lavoro e all’apprendistato. L’alternanza è di grande utilità ma solo se è di qualità, pertanto le aziende che si rendono disponibili a questo tipo di inserimento lavorativo di studenti devono essere aziende serie e qualificate e devono inserire gli studenti in progetti di lavoro che siano formativi e seguiti da appositi responsabili. Per quanto riguarda l’apprendistato, la Germania è un modello a cui guardare: in quel paese la disoccupazione giovanile è al 4% mentre in Italia, con tutte le forme di lavoro precario, siamo al 40%.
Il lavoro, si è sottolineato a Cagliari, deve essere al servizio dell’Uomo, e non viceversa. Si è parlato di lavoro buono, stabile, che da la possibilità alle persone di progettare un futuro e di creare una famiglia, comperare casa … Ma anche di un lavoro non buono che è precario, non inclusivo, che non da la possibilità di futuro. Ma lavoro non buono è anche quello di chi fa tante ore straordinarie, di chi non fa riposi, pensando solo ad arricchirsi. Lavoro non buono è anche quello di chi è già in pensione e continua a prendere il posto di un giovane disoccupato.
Egoismo e avidità portano a questo, alla schiavitù del lavoro. Solo un lavoro che riconosce la dignità del lavoratore si può chiamare lavoro.
Giorgio Nana