Articolo pubblicato su “Il Settimanale della diocesi di Como” del 9 novembre 2017.
Togli i vari adesivi e targhette della compagnia aerea, apri la cerniera della valigia e cominci ad estrarre e riporre uno alla volta gli oggetti: un libro di saggi pubblicati in occasione della 48ª Settimana Sociale, qualche opuscolo, un po’ di riviste omaggio tutte sul tema del “lavoro che vogliamo”, una cartina di Cagliari (mai usata visti i ritmi serrati dei quattro giorni), i prodotti del cesto omaggio, un buon numero di contatti e-mail e l’indispensabile pass che garantiva l’accesso all’area della Fiera di Cagliari.
Insieme agli oggetti dalla valigia escono anche, un po’ confusi e sovrapposti, gli stimoli e il ricordo di relazioni, tavole rotonde, dialoghi, lavori di gruppo, momenti informali. Ecco Mauro Magatti con il suo “dopo l’inverno viene la primavera”, la stagione della semina, stagione di speranza ma anche di fatica, dove coltivare e raccontare i germogli di qualcosa di nuovo, sostenibile e generativo. A questo la mente collega l’entusiasmo e l’amore per il proprio lavoro di Lorenzo Monti, diciottenne di Cantù, che sta vivendo un’esperienza riuscita di alternanza scuola-lavoro, ma anche la fame e sete di giustizia di Stefano Arcuri, marito di Paola Clemente, morta nei campi di Andria, vittima del caporalato.
Tra i ricordi che leviamo dalla valigia e riponiamo con cura, c’è anche una immaginaria foto di gruppo. Quella che vede immortalati i circa mille delegati provenienti da ogni parte d’Italia e rappresentanti di diverse realtà accomunate dalla stessa attenzione al mondo del lavoro: dall’associazionismo cattolico al sindacato, dal mondo accademico a quello della formazione professionale; e poi le comunità locali, con vescovi (ne abbiamo contati circa un’ottantina), sacerdoti, e davvero molti laici che con passione e competenza collaborano con la pastorale del lavoro e non di rado ne dirigono gli uffici diocesani. Un mondo variegato e ben “mescolato” che ha dato vita a fasi di lavoro stimolanti: basti pensare ai quasi cento tavoli che venerdì mattina, partendo dalle “buone pratiche” individuate sul territorio, hanno elaborato spunti, idee, proposte recepite poi dagli esperti presenti e dall’assemblea plenaria. Ma occorre aggiungere che la ricchezza di tante persone tanto “assortite” si è percepita nei momenti “informali” tanto quanto in quelli “formali”: poter conoscere e condividere esperienze diverse vissute sul territorio, scambiare opinioni, entrare in contatto con problemi differenti dai nostri per la viva voce di chi ogni giorno li affronta e nello stesso tempo poterne apprezzare i tentativi di soluzione o i percorsi avviati è una possibilità che, forse, solo una Settimana Sociale come quella vissuta a Cagliari può offrire.
Messa da parte anche la valigia, occorre ora chiedersi cosa fare di tutto quello che abbiamo raccolto. Lasciarlo in qualche scatolone in attesa di utilizzarlo alla bisogna per qualche incontro da preparare? Riporlo con cura perché non si stropicci e non si consumi (e così non si usi neppure)?
Forse no. La Settimana Sociale di Cagliari si è caratterizzata per un tratto spigliatamente concreto: individuare buone pratiche, cercare di farle conoscere e diffonderle, coglierne lo spirito per capire in che misura sono replicabili; creare semplici tavoli di lavoro con le persone più diverse per ruolo e responsabilità, ma senza distinzioni per competenze pregresse, con la sola consegna di riflettere insieme partendo dalle proprie esperienze, e di fare proposte. Uno spirito che implica il guardarsi in faccia, negli occhi, per leggere insieme la realtà, per tracciare insieme sentieri. Questo spirito può essere anche il nostro. Anche noi, nella nostra Chiesa locale, siamo chiamati a individuare e percorrere strade concrete per affrontare problemi concreti. La nuova fase del fondo diocesano per il sostegno al lavoro potrebbe essere proprio una di queste piste.
Ma, lo sappiamo, buone prassi richiedono un “buon pensiero”. Da Cagliari cogliamo allora il desiderio di un metodo che non si stanchi di cogliere il positivo, non per nascondere il male presente (tanto), ma per non dimenticare che quest’ultimo si sconfigge solo nella misura in cui allarghiamo il bene. La sfida da cogliere è quella formativa, non intesa in modo passivo, come esclusiva ricezione di contenuti, ma come capacità, partendo dalle solide basi della dottrina sociale della Chiesa, di guardare con realismo al nostro mondo e di pensare con altrettanta creatività a come renderlo più vivibile e più degno.
Il titolo della Settimana Sociale esprime una forza non sempre consueta nei nostri appuntamenti: “Il lavoro che vogliamo”; questa forza e questo tratto volitivo possa riverberarsi anche nelle nostre comunità, nelle nostre associazioni, nelle nostre parrocchie.
don Gianpaolo Romano e don Andrea Del Giorgio