Il cigno nero
«Chi l’avrebbe immaginato?». La domanda ha girato e gira nella testa delle persone … chi l’avrebbe immaginato, fino a poche settimane fa che ci saremmo trovati in questa situazione, nel bel mezzo di una epidemia, con tutto chiuso, il sistema al collasso e costretti a stare nelle case?
La stessa domanda corse sulle labbra degli esploratori europei dell’Australia alla fine del XVII secolo … «Chi l’avrebbe immaginato?» … chi avrebbe immaginato che esistesse il cigno nero … abituati alla verità che tutti i cigni sono bianchi, la sorpresa della scoperta della nuova specie originò (o meglio riportò in auge, considerato che già il poeta latino Giovenale nel I secolo dopo Cristo la usava) una metafora: il cigno nero come evento inaspettato e imprevedibile, con caratteristiche inedite che spiazzano rispetto al già conosciuto e sperimentato.
Il filosofo e matematico libanese Nassim Nicholas Taleb ha ripreso l’espressione nel suo fortunato testo dato alle stampe nel 2007 Il cigno nero – Come l’improbabile governa la nostra vita, dando origine ad un fecondo filone di riflessione che considera come la storia e la nostra vita stessa, siano segnate da avvenimenti inattesi e sorprendenti che ne determinano le svolte e i cambiamenti. La storia sarebbe piena di “cigni neri”. «Immaginate, alla vigilia degli eventi del 1914, quanto poco la vostra comprensione del mondo vi avrebbe aiutato a indovinare cosa sarebbe successo. Che ne dite dell’ascesa di Hitler e della successiva guerra? E della precipitosa morte del blocco sovietico? O il sorgere del fondamentalismo islamico? Avreste previsto la diffusione di Internet? O il crollo del mercato del 1987 (e la ripresa, più inaspettata)? Le mode, le epidemie, le idee, l’emergere di generi artistici e scuole. Tutti seguono queste dinamiche del Cigno Nero», assicura Taleb.
Un evento raro e imprevedibile. Isolato, perché non rientra nel campo delle normali aspettative umane. Ma drammatico, perché capace di sconvolgere le vite, cambiare le percezioni, far collassare a volte interi sistemi politici, intere economie. Non è quindi un caso che l’epidemia di COVID-19 sia da molti associata al concetto di “cigno nero” (anche se lo stesso Taleb in questi giorni ha espresso qualche riserva e distinguo su questo).
Una parentesi o l’inizio di una nuova fase?
Al di là delle immagini e delle chiavi interpretative, in molti, nei momenti in cui si diradano per un attimo le preoccupazioni più personali e attuali per la propria e l’altrui salute o le quotidiane questioni organizzative della vita in tempo di epidemia, cresce la consapevolezza del carattere inedito di quel che si sta vivendo e del fatto che lascerà conseguenze permanenti nel nostro modo di vivere e di vedere il mondo. Altri invece aspettano che l’incubo finisca e sognano di tornare alla vita di prima, come se nulla fosse accaduto.
Questo è il punto decisivo: tutto ciò che stiamo vivendo sarà una parentesi, un tornare indietro dettato dalla necessità o è un andare avanti, l’inizio di una nuova fase dove si recuperano alcuni elementi importanti che erano stati tralasciati e messi da parte, coniugandoli in maniera nuova?
Consapevoli che in questo momento è e deve essere prioritario il lato umano, il pensiero agli ammalati, ai parenti, a chi muore solo, proviamo a stilare un elenco di punti di riflessione sulla nostra vita in queste settimane, per riprenderlo quando ci sarà da ripensare e ricostruire un vivere quotidiano e sociale “normale”.
La casa e la famiglia
Il primo ambito esperienziale che la maggior parte delle persone stanno vivendo è quello della grande quantità di tempo vissuto dentro casa e in famiglia. Si riscopre così la casa non solo come luogo di passaggio e smistamento di attività e persone, come spesso diventa nella frenesia della quotidianità, ma come spazio da condividere e in cui stare. Ma soprattutto, laddove ci sono figli minorenni, si rinnova con forza la vocazione della famiglia chiamata ad essere protagonista dell’educazione umana e cristiana. La scuola, la comunità cristiana e le altre agenzie educative sono un appoggio ma non la possono sostituire.
Il tempo e l’attività
È ricomparso per molti il tempo, che prima mancava sempre. Con il bloccarsi di quasi tutte le attività dentro la comunità ci si è accorti, un po’ stupiti, che non tutto quel che facevamo era indispensabile. Siamo stati costretti ad allontanarci da quel muro che credevamo pericolante ed eravamo convinti di tener su con il nostro iperattivismo sociale e anche ecclesiale e … sorpresa! … la casa sta rimanendo in piedi lo stesso (almeno per il momento). Senza riunioni, convegni, appuntamenti, attività lavorative o di volontariato molti stanno scoprendo il fascino e il disagio del tempo vuoto. Un tempo di cui inconsciamente tutti abbiamo un po’ il terrore tanto che, quando si poteva, lo si riempiva con le miriadi di attività per il tempo libero.
Società e bene comune
Nelle situazioni estreme emerge il meglio e il peggio. Sia a livello personale che sociale. Spesso, senza molti “grigi”. Il peggio ce lo ha mostrato il vangelo della prima domenica di quaresima attraverso le tre tentazioni fondamentali: molti hanno tentato invano di colmare il panico e l’angoscia della situazione per mezzo dell’avere (accaparramento di mascherine e disinfettante, assalto ai supermercati), dell’apparire (mostrare di essere in possesso della “verità” … complottismo, letture apocalittiche a buon mercato, etc … ) e del potere (affermazione dell’individualismo con trasgressione e aggiramento delle regole).
Fermandosi invece sul meglio, il primo elemento che è ricomparso con abbondanza è il concetto di “bene comune” e un certo consenso, qualche volta un po’ scomposto e altre declamato ma poi non personalmente applicato, attorno alle norme di sicurezza: è giusto seguire le regole di prevenzione del contagio, è sbagliato non seguirle. Si riscopre che il bene comune non è la somma degli interessi individuali, ma qualche volta passa dalla limitazione degli interessi individuali per un bene più grande; si intuisce che è bene delle persone e della loro vita e non del sistema e si inorridisce unanimi per alcune uscite infelici e ciniche di politici stranieri.
Altro ritorno: la sostanza è superiore all’apparenza. I più importanti ed ammirati, in questa situazione, non sono quelli che appaiono e parlano tanto ma quelli che nel nascondimento degli ospedali lavorano. E così i tanti che si stanno dando da fare per garantire salute e i servizi essenziali: dalla protezione civile alle forze dell’ordine, fino agli agricoltori e al personale dei supermercati che garantiscono la filiera agroalimentare. Come accade spesso nelle emergenze si è generata una distinzione della società in una minoranza professionale che fa il bene comune lavorando instancabilmente, e una maggioranza che fa il bene comune stando ferma, non intralciando e non prendendo iniziative in buonafede ma scoordinate creando problemi e non contribuendo a risolverne. È stato poi consolante sapere che, oltre a qualche furbetto che prendeva sottogamba le precauzioni, ci sono stati nei nostri paesi molti imprenditori, commercianti ed esercenti che, richiamandosi appunto alla responsabilità sociale e al bene comune, hanno chiuso ben prima del varo dei relativi decreti, rimettendoci del proprio.
Un discernimento serio sarà da fare a fine emergenza sulla gestione del nostro Sistema Sanitario Nazionale: al netto della situazione eccezionale, quanto i molti tagli del recente passato e le scelte per favorire l’inserimento (e a volte il prevalere) del privato sono andate a favore del bene comune, di un bene comune che non è primariamente del sistema, ma delle persone e della loro salute?
Territorio e relazioni
La realtà è superiore all’idea. E la realtà è complessa e fatta di vari aspetti, mentre l’idea spesso rischia di essere unilaterale e semplificatrice.
Ci si sta rendendo conto che, certo, le cose si possono fare in maniera diversa con lo Smart Working e lo Smart Learning. E ciò potrà servire in futuro per essere più flessibili e più adatti a coniugare i tempi e le modalità della vita lavorativa, scolastica e famigliare. Contemporaneamente ci si rende conto che il lavoro non è solo compravendita di manodopera e la scuola non è solo trasferimento di contenuti e competenze. Quei “mondi” e le relazioni che al loro interno vivevamo ci mancano. Sentiamo che vanno considerati integralmente, in tutti gli aspetti, e che la visione a una dimensione non rende giustizia alla ricchezza di queste esperienze umane.
Emerge la concretezza del territorio fatto di distanze reali. Oggi non è la stessa cosa fare la spesa a pochi passi da casa e farla nel centro commerciale. Vi è, specialmente nei comuni piccoli, un ritorno obbligato alla piccola distribuzione, alla rete di relazioni e servizi del paese. Ci renderemo conto che non è la stessa cosa costruire un immenso e anonimo centro commerciale in una zona dove piccoli comuni e frazioni sono agglomerati vuoti di case dormitorio e far resistere con tutte le modalità innovative e creative del caso tanti piccoli servizi in una rete di paesi che sono comunità?
Informazione e comunicazione
Man mano che si viene maggiormente coinvolti nell’emergenza, perché limitati dai provvedimenti precauzionali o, purtroppo, perché la malattia colpisce conoscenti, vicini, parenti, si prende consapevolezza della differenza tra virtuale e reale, tra ciò che si vede o si legge su uno schermo e stimola delle emozioni momentanee e ciò che si vive sulla propria pelle.
Allo stesso tempo si impara ad apprezzare il lato utile dei mezzi informatici e del mondo dei social e le relative buone prassi e buoni usi orientati al mantenimento delle relazioni e dei legami di comunità. Anche qui sarà opportuno un discernimento che faccia passare da una critica fine a sé stessa (con tratti di demonizzazione) ad una visione non ingenua che possa essere proposta di un uso costruttivo ed alternativo.
Nel frattempo, sottotraccia, hanno ripreso vigore la carta stampata e le fonti ufficiali. C’è fame di buona e selezionata informazione. Meno notizie ma di affidabilità migliore. Speriamo non sia un fuoco di paglia.
Niente sarà più come prima?
“Tutto andrà bene!”. Preferiremmo “Tutto andrà meglio!”. Meglio di prima, che questa crisi, questo cigno nero, alla fine ci trovi più saggi e più consapevoli.
L’ultimo evento globale di portata paragonabile a questo è stata la crisi economica mondiale causata dal crollo dei mutui subprime negli USA nel 2008. Molti allora dicevano “niente sarà come prima” e salutavano la crisi come occasione di un ripensamento tanto del sistema politico ed economico a livello globale che della vita quotidiana delle persone e delle famiglie. Ci siamo rialzati doloranti con le ginocchia sbucciate, con fatica di anni siamo risaliti sulla bicicletta leccandoci le ferite. Ancora oggi non siamo in grado di pedalare come prima. Ma sembra proprio che il nostro modo di guidare la bicicletta-mondo non sia cambiato e che da quella crisi abbiamo imparato poco.
Non dobbiamo nasconderci la possibilità che “tutto andrà bene” ma che, un’altra volta “tutto sarà come prima”.
Ora, rimettiamo nel cassetto questa lista e torniamo a consolare e pregare, a resistere e sperare, anche a preoccuparci per gli altri e per il bene comune perché la preoccupazione, come il resto, è una forma d’amore. Preparandoci poi, finita finalmente l’emergenza sanitaria, a costruire e ricostruire. Affinché nulla sia più come prima. Ma meglio di prima.
don Andrea Del Giorgio