In merito alla “Veglia di preghiera per il lavoro” in occasione del 1° Maggio di cui si è data notizia sullo scorso numero del settimanale, pubblichiamo la nota della Giunta della Consulta delle Aggregazioni Laicali.
In un primo momento ha un po’ sorpreso che la Veglia di preghiera per il lavoro, in occasione del 1° Maggio, avesse come tema il “farsi prossimo” nella realtà occupazionale ed economica; che il contesto prescelto fosse una struttura per l’accoglienza di persone anziane; che il farsi prossimo venisse inteso come prendersi cura dell’altro con competenza e sensibilità umana. La realtà silenziosa di uomini e donne fragili e bisognose di cura interroga la società e la comunità cristiana su più fronti: da quello antropologico a quello economico, da quello sociale a quello religioso. Non ci si può sottrarre a questi interrogativi: occorre però prendere atto che una Veglia di preghiera dal titolo “Si prese cura” è un’occasione significativa per testimoniare e annunciare la misericordia di Dio, per chiedere, a partire da sé stessi, un supplemento di impegno contro la deriva dello scarto.
“Il lavoro del farsi prossimo” come recita il sottotitolo della Veglia di preghiera, richiama una specificità che arricchisce ulteriormente la riflessione sulla dignità che si realizza nel lavoro. Nella casa di riposo per anziani si incontrano infatti tre umanità: quella di chi ha concluso un’esperienza lavorativa; quella di quanti – familiari e amici – declinano la propria esperienza lavorativa con gli affetti per i padri, le madri, le persone ospiti; quella di chi in quel luogo vive una particolare esperienza lavorativa. Le tre umanità si fondano sulla dignità di ogni persona coinvolta nella diversità di situazioni, condizioni, aspettative.
Come, in queste diversità, il “prendersi cura” diventa esperienza lavorativa? Non è facile conservare sempre una forte motivazione, far crescere e la competenza e la professionalità negli operatori senza sacrificare la loro umanità. Non è facile adeguarsi a sempre nuove e più rigide norme senza perdere di vista il primato della persona che si ha in cura. Chi lavora in una casa di cura per anziani sa che i diritti garantiti dalle leggi a tutte le persone di età avanzata sono stati una conquista ma sa anche che restano senza risposta tanti bisogni immateriali fondamentali: senso di vicinanza, di riconoscimento del valore del proprio passato,
assistenza umana e spirituale … Per gli operatori il lavoro, visto da questa finestra della coscienza, diviene un’occasione per una maturazione a volte sofferta e mai conclusa. E questa è una consapevolezza da far maturare nella comunità cristiana e nella società perché non venga meno in loro la passione per l’uomo.
Un messaggio viene da chi opera nelle strutture per anziani quando chiede di non essere considerato una persona che fa un lavoro triste in case di abbandono, di declino e di morte, ma vuole essere considerato una persona che lavora perché tutti i giorni della vita, propria e altrui, abbiano un senso e un orizzonte. Perché questo avvenga occorre un risveglio della coscienza sia nella Chiesa come nella società perché anche le case della fragilità non siano isole ai margini della città ma siano luoghi dove la città ritrova sé stessa. Luoghi dove il “prendersi cura” diventa una professione che, nel rispetto delle regole e dei protocolli, si intreccia con i volti e comunica tenerezza. E’ alla luce di questa riflessione che le aggregazioni laicali si sentono coinvolte nella Veglia di preghiera e nell’impegno concreto che dalla stessa scaturisce.
La Consulta diocesana delle aggregazioni laicali (CDAL)